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In
Bocchigliero Cs Presenta “Le icone: Testimonianze
pregiate di devozione sacra nell’Europa
orientale”.
La Parrocchia Santa Maria
Assunta In Bocchigliero Cs Presenta “Le icone: Testimonianze
pregiate di devozione sacra nell’Europa orientale”. Nel periodo tra la festa della Madonna de Jesu e San Rocco per una settimana , sarà inaugurata, nei locali del Teatrino parrocchiale, un’esposizione dedicata alla aghiografia(riproduzione di sacre immagini),meglio nota come iconografia(riproduzione di immagini), con cui si intende la pittura di icone destinate alla venerazione ed al culto nella cristianità. La mostra è articolata in due sezioni: la prima comprende icone realizzate da artisti russi,bizantini, rumeni,greco/ortodossi,polacchi, ecc;la seconda è la prima personale di un’artista locale, appassionata dell’arte iconografica, da anni impegnata nello studio delle tecniche inerenti la riproduzione,nonché l’interpretazione delle icone. I giorni e l’orario di apertura al pubblico saranno resi noti non appena possibile. Per meglio apprezzare il valore di tali capolavori è opportuno conoscere alcune caratteristiche di questa antichissima arte sacro-devozionale,che già a partire dal Concilio di Nicea(843),assunse la valenza di “dogmatica a colori”. La
pittura di icone ,storicamente, nasce dalla tecnica dell'affresco, ma
si è evoluta in maniera abbastanza complessa, soprattutto per la
preparazione della tavola, che non deve incurvarsi e deve essere
resistente agli agenti atmosferici. La stesura dell'oro sul disegno,
fatto a matita e poi inciso con un ago, costituisce lo sfondo. Poi
l'artista dipinge, servendosi di colori realizzati con polveri naturali
mescolate al giallo d'uovo. Quando la pittura è terminata, si
applica sulla superficie uno strato protettivo, composto del migliore
olio di lino e di varie resine, come l'ambra gialla. Questa vernice
imbeve i colori e ne fa una massa omogenea, dura e resistente. Alla sua
superficie vengono fissate le polveri, e questo, col tempo, conferisce
alla massa una tinta scura. Se la si toglie, i colori appaiono al di
sotto nel loro splendore originale.Essendo non soltanto il frutto di
un'ispirazione artistica e di una certa libertà nella tecnica,
ma anche l'espressione di una tradizione ecclesiale, le icone ,stando
al 2° Concilio di Nicea, possono essere considerate autentiche,
solo se vi è un consenso della Chiesa. Il luogo liturgico
fondamentale delle icone è il tempio e, di regola, gli
iconografi sono dei monaci Nel mondo slavo e bizantino la
contemplazione delle icone aveva (ed ha) un valore salvifico pari a
quello della lettura delle Sacre Scritture. Tre sono le caratteristiche fondamentali di tutte le icone:
1. la luce
naturale non ha alcun valore, ma sia essa che tutti i colori terreni
sono soltanto luce e colori riflessi; nell'icona, quindi ,non
c'è ombra o chiaroscuro; il fondo e tutte le linee, le
sottolineature d'oro vogliono proprio significare una luce
sovrannaturale; 2. la prospettiva è rovesciata, poiché le linee
si dirigono in senso inverso rispetto a chi guarda, cioè non
verso un punto di fuga dietro il quadro, ma proprio verso un punto
esterno, che avvicina le linee allo spettatore, dando l'impressione che
i personaggi gli vadano incontro (i profili, infatti ,non esistono, se
non per indicare i peccatori, né la tridimensionalità, in
quanto la profondità viene data solo spiritualmente,
dall'intensità degli sguardi); 3. le proporzioni
delle figure, la posizione degli oggetti, la loro grandezza non sono
naturali (pesi e volumi non esistono), ma relative al valore delle
persone o delle cose: non esiste naturalismo o realismo (cioè la
ritrattistica), ma solo simbolismo. Il corpo, sempre slanciato, sottile, con testa e piedi
minuscoli, è disegnato a tratti leggeri e,
nella maggior parte dei casi, segue le linee delle volte del tempio, in
quanto la pittura dipende dall'architettura. Tutto, comunque, è
dominato dal volto, perché è da qui che il pittore prende
le mosse. Gli occhi sono molto grandi, fissi, a volte malinconici,
sotto una fronte larga e alta; il naso è allungato, le labbra
sono sottili, il mento è sfuggente, il collo è gonfio.
Tutto per indicare ascesi, purezza, interiorità... Altro aspetto frequente che si trova nelle icone è la simmetria, che indica un centro ideale al quale tutto converge. La tradizione vuole che il primo aghiografo, che poi degli aghiografi diventerà il patrono, sia stato san Luca evangelista (forse per i tanti particolari di descrizione della Santa Vergine che ci riporta il suo vangelo) e alcune icone sono venerate come da lui dipinte. In quest’arte intrisa di teologia si rappresenta, anzitutto, il ritratto interiore del venerato, ed i tratti somatici sono rigidamente imposti. Per questo, a differenza della pittura sacra occidentale, tutti i rappresentati sono sempre ed immediatamente riconoscibili, in ogni tempo ed in ogni luogo. Si individuano ad esempio san Nicola, o san Paolo, o sant’Antonio il Grande, etc. nonostante l’epoca dell’icona (dal XII sec.), la provenienza (Russia, Grecia, etc.), l’aghiografo che l’ha dipinta. E tutto ciò per la comunanza dei caratteri somatici, degli occhi, della barba, della stempiatura, del tipo di vestito, dello sguardo dolce o arcigno. E questo e’ importante, perché ogni icona viene prodotta per essere venerata dai fedeli che devono riconoscere chi venerano, perché ogni icona viene prodotta a maggior gloria di Dio e non dell’aghiografo o del committente, perché l’icona non è oggetto di arredo, perché ogni icona e’ essenza vivifica, vitale e vivificatrice di chi rappresenta. E questo e’ uno dei piu’ importanti dogmi della Chiesa Ortodossa. In Europa occidentale l'iconografia è rimasta sostanzialmente di tipo bizantino sino a Duccio di Boninsegna e Giotto, cioè sino al momento in cui si è cominciato a introdurre la prospettiva della profondità, il chiaroscuro naturalistico, il realismo ottico, perdendo così progressivamente il carattere misterico e trascendente delle rappresentazioni sacre. Una delle
caratteristiche che maggiormente colpisce lo sguardo dell’osservatore
è il suggestivo effetto cromatico
delle icone. Tuttavia la consistenza del colore nell’arte iconografica
e la sua funzione simbolica non vanno confuse con il significato che
assumono in altri generi pittorici e in altre tecniche, come la tempera
ad olio, nelle quali la scelta dei colori e la loro combinazione
è lasciata alla piena ed esclusiva discrezionalità
dell’artista. Rifleettiamo,dunque,sul
significato di alcuni colori base. Bianco: è un colore che riveste
molteplici significati, al di là del contesto sacro. Il bianco
è il colore consacrato alla divinità già nel mondo
pagano. Anche per noi esso è il colore che rappresenta il mondo
divino. È il colore della luce. Gli
schiarimenti(che si ottengono per strati successivi
sul fondo di colore scuro) e i tratteggi bianchi in un icona sono il
riflesso di quella luce particolare di cui l’icona è
un’irradiazione. Nella tempera a uovo gli strati non si mescolano tra
loro, non si crea l’impasto tipico della pittura ad olio, non si usano
i colpi di pennello “non essendoci mezzitoni e ombre: la realtà
emerge, a gradi, con la rivelazione dell’essere”. La procedura chiamata
probelka, consistente nello schiarimento
delle superfici mediante l’aggiunta in giuste dosi di bianco ed
emulsione, è considerata la fase più importante
più significativa di tutto il lavoro, proprio per l’importanza
della luce nell’icona. Esistono varie tecniche di schiarimento e
qualcuna di queste, come il lavoro di schiarimento dell’incarnato,
chiamato vokhrenie, è
più complessa. L’icona comincia ad essere viva con i tratti
sottili di colore bianco puro o d’ocra e tale tratteggio è
designato con la parola oživki, “tratti vivi”. Nelle
icone antiche, in cui questo fenomeno può essere analizzato e
studiato molto bene, veniva valorizzata anche la tecnica dell’assist o inocopia, cioè un
cioè un procedimento di schiarimento tramite il tratteggio d’oro
applicato soprattutto sui bordi delle vesti, sui troni, sulle ali e sui
vangeli.Proprio per l’importanza e il significato teologico della luce,
è inconcepibile un’icona senza le luci del bianco. In alcune
icone il bianco è il colore proprio della veste di Cristo, come
quella della Trasfigurazione, festa della luce, seconda solo alla
Pasqua nella Chiesa bizantina. Nelle altre icone di Cristo invece i
colori delle vesti e del manto sono la porpora e il blu, come si nota
nell’immagine del Pantocràtor.Il bianco
è anche il colore dei paramenti sacri dei vescovi, dei
metropoliti, dei patriarchi, dei presbiteri nelle solennità del
Signore, sia in Oriente che in Occidente, mentre altri colori sono
riservati per i diversi tempi liturgici e per le feste dei santi. Il
bianco nella Sacra Scrittura è il colore della purezza e
dell’innocenza (Ap 4, 4; 7, 14; Is 1, 10), delle vesti degli angeli che
sono penetrati dalla luce divina (Mc 16, 5; Gv 20, 12; At 1, 20). Il blu :produce l’illusione di un mondo irreale, senza pesantezza.
E’ il colore della trascendenza in rapporto a tutto ciò che
è terreno e sensibile.Nell’iconografia troviamo il blu scuro nel
manto del Pantocràtor, come si è appena
accennato, nelle vesti della Vergine e degli Apostoli. Il
rosso: nella cultura
biblica il rosso è associato al sangue, al fuoco, ma anche al
male. Nella liturgia cristiana è il colore delle feste dei
martiri, della Pentecoste. E’ indubbia la sua forte connessione con il
mondo divino. La porpora
è invece il colore della regalità, della potenza, della
ricchezza, della dignità sacerdotale. Il verde
è il colore della natura. Nelle sue tinte tra il giallo e il
blu, è largamente utilizzato per i personaggi delle icone, in
particolare per le vesti dei martiri, accanto al rosso, per i profeti e
i re. Nella liturgia è il colore del tempo ordinario,
il tempo dell’ascolto calmo, sereno della Parola di Dio, della sua
lenta assimilazione. Il
bruno riflette la densità della
materia, gli manca l’irraggiamento e il dinamismo dei colori puri,
perciò lo troviamo per tutto quel che è terrestre. Le
tinte brune non hanno un simbolismo proprio, sono là come cose.
Il bruno non ha un significato indipendente da ciò che copre,
come avviene in altri colori di cui si è detto prima. Il bruno
scuro, prossimo al nero, dei monaci e degli asceti è
invece segno della loro povertà e della loro rinuncia alle gioie
della vita terrestre. Il nero nell’iconografia
rappresenta il luogo della condanna, l’Ade nell’Icona della
Risurrezione, la tomba dalla quale esce Lazzaro, la grotta sotto la
croce, con il cranio di Adamo, simbolo dell’entrata della morte causata
dal peccato che deve essere cancellato dalla morte di Cristo. Anche la
grotta della Natività è nera, per ricordare che il
Salvatore appare “per illuminare coloro che stanno nelle tenebre e
nell’ombra della morte” (Lc 1, 79). Il nero è infine il colore
delle vesti dei monaci che portano il grande schema,
simbolo del più alto grado di ascesi, della loro morte a questo
mondo. L’oro
ha un irraggiamento proprio e pertanto ha un ruolo importantissimo
nell’iconografia come simbolo della luce divina. Appartiene alla sfera
della luce. Nelle icone l’oro fa da sfondo, rappresenta il cielo,
perché la sua lucentezza non può che essere espressa con
l’oro. Quando, infatti, guardiamo il cielo vicino al sole, non vediamo
più l’azzurro bensì la luminosità che irradia
dalla luce solare. Di oro è fatto il nimbo, segno della luce
divina in cui sono immersi i santi. La doratura, la posa dei fogli
d’oro, richiede una procedura lunga e delicata e costituisce la fase
che segue la preparazione del legno, l’applicazione del levkàs
(dal greco leukòs, bianco), cioè
dell’intonaco, il disegno dell’icona, e precede la preparazione
dell’uovo, delle terre e delle ocre e la stesura dei colori, gli
schiarimenti e le fasi finali, le iscrizioni e la verniciatura. L’oro,
per la sua preziosità, è riservato, anche nella liturgia
e nell’architettura, a tutto ciò che richiama direttamente ed
esplicitamente il divino. Le cupole delle chiese ortodosse sono spesso
rivestite di oro, perché la cupola è simbolo del cielo
sede della divinità. Spesso possono essere ricoperte di blu, il
colore del cielo, e decorate con numerose stelle dorate.Per l’arte
bizantina la concezione della luce costituisce l’anima
della sua estetica. Per
concludere la prehiera recitata dall’aghiografo prima di accingersi
all’opera: Tu, Signore divino di tutto ciò
che esiste, Ti prego, illumina e dirigi l’anima, il cuore
e lo spirito del Tuo servo; abbi pietà di lui, guida le sue mani perché possa rappresentare degnamente e perfettamente quella della Tua santa Madre, di tutti i Tuoi angeli e tutto i
Tuoi santi, per la gloria, la gioia e la bellezza della Tua santa Chiesa. Amin.
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