Da tempo oggetto d'indagini archeologiche approfondite,
Castiglione di Paludi è uno degli insediamento brezi più
interessanti oggi conosciuti, racchiuso in un'imponente cinta
muraria. Posto in posizione panoramica alla sommità di una
collina delimitata dai torrenti Coseria e Scarmaci, 8 km dal mare,
il sito è stato da alcuni identificato con l'antica Cossa,
una città enotria di cui testimoniano Ecateo da Mileto (VI
a.C.) e anche Giulio Cesare nel suo De Bello Civili.
La vasta zona archeologica di Castiglione, rinvenuta negli anni cinquanta
sul pianoro davanti all'abitato di Paludi, conserva le ricche testimonianze
di un centro fortificato Brezio d'importanza primaria. La fase più
antica risale all'età del ferro, di cui sono testimoni circa
50 tombe a fossa, databili fra la fine del X e la prima metà
dell'VIII sec. a. C.; i corredi ne attestano la cultura tipica del
periodo, con massicce attestazioni di reperti in metallo, recuperati
nel corso degli anni '50. La seconda fase è caratterizzata
dalle emergenze monumentali (mura, teatro, edifici) dell'abitato
fortificato, risalente al IV-III sec. a.C. Di questo periodo sono
note anche delle tombe, che si sovrapposero alle più antiche
dell'Età del Ferro.
II colle di Castiglione offriva sicurezza strategica e logistica,
grazie alle ripide balze che lo isolano dai valloni sottostanti. La
sommità è costituita da due ampi pianori separati al
centro da una valletta con doppia pendenza, verso Est e verso Ovest.
Dalla sommità Nord/Est è visibile il litorale dalla
foce del torrente Coserie al Capo Trionto, mentre il fianco Sud/Ovest
della collina si raccorda ai primi contrafforti della Sila.
La cinta muraria, il cui circuito è noto attualmente per una
lunghezza totale di m. 500 circa, è costruita in blocchi squadrati
d'arenaria locale, poggianti sul banco roccioso sottostante. L'accesso
principale dalla Valle del Coserie è controllato dalla
grande Porta Est costituita da uno sbarramento con due passaggi
ai lati e vestibolo interno sul cui fondo si apriva la porta vera
e propria. La porta è dominata dai resti di due torri a pianta
circolare e, in origine, a due piani. Il tratto orientale della cinta,
attualmente pericolante, è stato tagliato nel corso degli anni
'50 da una stradella comunale nel punto in cui è oggi visibile
una scala per il cammino di ronda, addossata al paramento interno.
Nello stesso tratto, 40 metri in direzione Sud/Est, si apre una postierla
per le sortite d'emergenza.
Risalendo, invece, dalla Porta Est in direzione Nord/Est, il circuito
può seguirsi interamente fino alla Torre Nord/Est, in
prossimità della quale si incontra un'altra scala per il cammino
di ronda.
La Torre a pianta circolare, che protegge lo sperone della collina
lungo la via d'accesso dal Coserie, si raccorda al tratto più
settentrionale della cinta.
Quest'ultimo risulta ad oggi mal conservato a causa di movimenti franosi
che interessano il ciglio della collina. Sono tuttavia visibili
i resti, scoperti recentemente, di una torretta con scala elicoidale.
Un ulteriore tratto del circuito difensivo si conserva all'estremità
Nord/Ovest del colle, nei pressi dell'attuale accesso all'area archeologica.
Il sistema difensivo si completa verso il fondovalle del Torrente
S. Elia, affluente del Coserie, con la Porta Sud/Est, più semplice
nella struttura rispetto alla grande Porta Est, essendo fornita di
due guance laterali con breve corridoio interno.
Il settore più eminente del pianoro settentrionale, che guarda
verso la valletta centrale, è occupato dal teatro. I sedili
a gradinate nella parte alta della cavea sono stati intagliati nel
pendio roccioso naturale, quelli della parte bassa sono stati costruiti
con blocchi squadrati d'arenaria. Si conservano tratti del muro
che sosteneva la parte più alta delle gradinate e del corridoio
laterale d'accesso a questa ultima. L'edificio ha subito spoliazioni
di materiali nel corso dei secoli, perciò si presenta in cattivo
stato di conservazione e di difficile lettura, considerato anche che
mancano del tutto dati archeologici per quel che riguarda l'esistenza
della scena, non sembra improbabile che il teatro sia stato in
realtà un edificio per pubbliche riunioni.
Nell'area a Sud/Est del teatro sono visibili i resti d'edifici a pianta
rettangolare, costruiti nella consueta tecnica in blocchi squadrati
con muri divisori interni in ciottoli a secco. Per la loro ubicazione
sono da considerarsi con tutta probabilità edifici pubblici,
tenuto conto anche della presenza di resti di un colonnato sulla fronte
del più orientale di essi e, inoltre, dalla sistemazione generale
dell'area per mezzo del Lungo Muro, posto immediatamente a valle del
teatro con funzione di terrazzamento della collinetta e di completamento
per così dire, scenografico, dell'intero settore centrale
(lunghezza
totale m. 42).
Anche gran parte del pianoro meridionale doveva essere occupato da
edifici, dei quali sono stati scavati soltanto piccoli settori. La
destinazione privata di essi potrebbe essere comprovata dalla tipologia
dei reperti, in netta prevalenza vasellame d'uso domestico (anfore,
tegami, bacili). La tecnica costruttiva è affine a quella dell'edificio
messo in luce negli scavi 1981-1985 sul pianoro settentrionale.
L'edificio, che occupa una superficie di mq. 200, presenta pianta
rettangolare con otto vani e corridoio sul lato Nord che delimita
un'area occupata da strutture di servizio, come dimostrerebbe la tecnica
costruttiva meno accurata di quella finora riscontrata nel corpo principale.
L'ingresso di quest'ultimo è stato identificato all'estremità
Nord/Ovest, dove si trova una piccola rampa in blocchi d'arenaria,
fiancheggiata dai resti di una struttura in ciottoli, lunga circa
m. 6, forse un portico. Mentre rimane incerta la funzione del grande
edificio, sono sicure le due fasi di vita attestate dalle modifiche
subite nel corso del III sec. a.C. dai vani che, pur mantenendo inalterato
l'orientamento di quelli precedenti in blocchi squadrati d'arenaria,
sono ricostruiti con muretti divisori in ciottoli di fiume e spezzoni
di tegole, a secco, modificando il primitivo impianto planimetrico.
Nell'area a Sud dell'edificio denominato I, ed in asse con quest'ultimo,
si trova un altro edificio separato dal primo da una stradella di
m. 4.50, ma con differenti caratteristiche planimetriche e costruttive.
L'edificio a pianta rettangolare, denominato III, presenta, infatti,
un'unica fase in blocchi e tre ampi vani usati nel corso del III sec.
a.C. che coprono una superficie di 130 mq.
A poca distanza dall'estremità Sud/Est dell'edificio II, in
uno spazio completamente privo d'altre strutture, è visibile
l'imboccatura di un grande pozzo in blocchi squadrati d'arenaria.
Al problema del rifornimento idrico dell'abitato, si faceva fronte
contemporaneamente con la cisterna in pietre a secco situata
nella stessa area, circa 50 m. ad Est dell'edificio.
MURAGLIE DI ANNIBALE
3 Km. a nordest dell'abitato di Pietrapaola, disperso a monte tra
distese di querce e castagneti ed a valle tra gli ulivi, si può
visitare un antico impianto difensivo brezio del III sec. a.C. di
notevole interesse archeologico-ambientale: le cosiddette Muraglie
di Annibale. Si tratta d'un vasto insediamento fortificato risalente
allo stesso periodo in cui sorgono i centri di Castiglione dei Bruzi,
a Paludi, e di Pruija, a Terravecchia.
L'altopiano delle Muraglie si trova in cima ad un'altura in posizione
dominante sulla fascia costiera ionica tra Capo Trionto e Punta Fiume
Nicà. Lungo lo sperone roccioso che borda a nord e nord/ovest
l'altopiano, si conserva - per una lunghezza complessiva attuale di
m. 450 - una cinta muraria in blocchi squadrati di conglomerato d'arenaria,
i quali formano un doppio paramento a secco in opera poligonale. Sul
lato nord/est del circuito si apre una porta rientrante ad angolo
retto decorata da un listello a rilievo, con corridoio lungo m. 15,
in corrispondenza di un'antica via di accesso dal litorale, che, in
prossimità della porta, era sbarrata da una serie di massi
rocciosi.
All'estremità sud/est dello sperone, è visibile il basamento
di una torre a pianta quadrangolare, posta a controllo dell'arco
costiero meridionale.
In base alle più recenti ricognizioni, è possibile
ipotizzare la presenza di un circuito difensivo lungo in totale
1,5 Km., assai simile nell'aspetto a quello di Castiglione di Paludi,
che racchiudeva un'ampia superficie a pianori (circa 45 ettari),
separati da una valletta centrale. Entrambi facevano parte di
una catena di luoghi fortificati che segnavano il territorio brezio.
Nell'area all'interno della cinta muraria sono stati recuperati vari
materiali archeologici, quali pregiate statuine fittili, ceramiche,
monete riferibili ad una frequentazione del sito tra il IV e il III
sec. a.C. (patrimonio questo conosciuto nella tradizione popolare
come "Tesoro di Annibale").
PATIRION
Sorge in forme bizantine su un'altura panoramica a circa 700 m. s.l.m.,
in un luogo assai affascinante, immerso nei boschi. Fu fondata tra
l'XI e il XII sec dal monaco basiliano Bartolomeo da Simeri, di Rossano,
all'epoca una delle città più importanti dell'ellenismo religioso
e culturale. Meglio conosciuta come Patir, Patirion o Patire, deve
queste sue denominazioni al padre (in greco patér) fondatore, che
fece del monastero un notissimo centro di studi teologici e classici.
L'Abbazia fu pertanto il più noto Cenobio del Sud che, attraverso
il suo "Scriptorium" e l'intensa attività dei monaci,
contribuì a tramandare, difendere e preservare molti dei testi della
cultura antica e classica, confluiti poi nelle più importanti biblioteche
italiane ed estere. Nella biblioteca del Patirion si custodiva una
grandissima quantità di rari manoscritti fra cui il cimelio sacro
più importante di tutta la Calabria: il "Codex Purpureus Rossanensis"
del sec. V-VI, attualmente conservato nel Museo Diocesano d'arte sacra.
Dell'originaria costruzione rimangono in piedi alcuni archi e avanzi
del chiostro. La parte meglio conservata della struttura è sicuramente
la Chiesa, bella basilica a tre navate separate da due ordini di colonne.
La facciata presenta un imponente portale gotico, sormontato da un
rosone, ai cui lati si aprono due bifore a tutto sesto. Sempre all'esterno,
particolarmente interessanti sono le tre absidi di stile arabo-normanno,
su cui spiccano singolari decorazioni geometriche costituite da tessere
policrome in pietra e arenaria. Da segnalare, all'interno, la raffinata
pavimentazione musiva, che un tempo ricopriva tutta la superficie
della chiesa e di cui oggi non restano che pochi esempi. I mosaici
superstiti raffigurano animali, molti dei quali mitici, realizzati
nelle tipiche sfumature ocra della tradizione musiva bizantina. I
soggetti di tali mosaici furono riprodotti su stoffe orientali e siciliane.
La decadenza irreversibile del Monastero del Patirion coincide, da
una parte, con la fine dell'impero di Bisanzio (1453) e quindi con
la crisi insanabile del Monachesimo e della Chiesa Bizantina in Italia
e, dall'altra, con la latinizzazione della Chiesa di
Rossano. Questa è intrapresa, alla morte dell'ultimo Vescovo greco,
Domenico de Lagonessa, dal primo Arcivescovo Cattolico, Matteo Saraceno
(1460), col quale cessa definitivamente quanto ancora restava di dottrina,
di liturgia, d'organizzazione e di spiritualità greche a Rossano.
CHIESA DI S. MARCO
La chiesa di S. Marco
è l'edificio più importante di Rossano, costruito nel IX-X secolo
in equilibrio su una rupe all'estremo limite della parte alta della
città. Decretato monumento nazionale, gioiello della Calabria bizantina
- quasi gemella con la Cattolica di Stilo (RC) - ha ricevuto spettacolari
qualifiche quali "Basilica in miniatura", "Chiesa bellissima e rarissima".
Le forme dell'architettura presentano uno stile bizantino abbastanza
puro, di grande importanza artistica e storica. La pianta è a croce
greca, inscritta in un piano quadrangolare, ai cui angoli si ergono
quattro cupole schiacciate, più basse che quella centrale, poggiante
su quattro pilastri. All'esterno presenta la forma di un rettangolo
terminato da tre absidi pronunziate. L'area della chiesa si divide
in due parti uguali, quasi perfettamente quadrate, di cui una è stata
aggiunta probabilmente più tardi, forse nel secolo XV, formando un
nartece troppo vasto in rapporto alla chiesa vera e propria. Durante
i due restauri effettuati nel 1931 e nel 1934 furono ripristinati
gli elementi primitivi di questo monumento. Nella bifora centrale,
completamente murata, si rinvenne una piccola colonna scanalata d'indubbia
origine turiese, che comprovò fino a qual punto le rovine della non
lontana città magnogreca fossero utilizzate per chiese e
monasteri; sotto uno strato di calce fu tratta alla luce nella parete
sinistra presso il presbiterio, un frammento d'affresco bizantino
raffigurante la Madonna seduta in trono e col bambino tra le braccia
(Odigitria, sec. IX-X). Nello spazio sacro è collocato il bema (l'Ara
a cippo per la celebrazione dell'Eucarestia). Nel nartece sono conservate
una Pila litica medioevale per l'Acqua Santa (sec. XII), una Campana
di età rinascimentale (1562) ed un Capitello bizantino-normanno (sec.
XII). Ulteriori restauri furono effettuati nel 1977, durante i quali
fu rifatto il tetto del nartece e del Sancta Sanctorum. Le cinque
cupole cilindriche hanno ricevuto un maquillage luminoso attraverso
un riordinamento d'intonaco compatto, ben dosato anche nel colore.
Nel corso dei lavori fu riportata in luce la monofora ostruita precedentemente
da pietre e calce, alla cupola a sinistra di chi guarda dalla piazzetta
del Leone. Fu ripristinato l'intonaco dei muri esterni, delle pareti
interne e delle colonne, su cui le acque piovane avevano lasciato
deturpanti macchie verde-nerastre. Venne ristrutturato un nuovo pavimento
intonato all'armonia e all'unità stilistica del Tempio. Ripuliti i
resti dell'affresco bizantino dell'Odigitria e reintegrate le monofore
e le bifore attraverso le quali la luce, penetrando, slarga gli spazi
e le forme, in verità ristrette dai quattro massicci pilastri rettangolari.
Due porte nuove hanno impreziosito l'ingresso alla Chiesa ed il passaggio
dal nartece sulla piccola terrazza rettangolare.
S. Marco sorge quasi dalla roccia e la vista che offriva da oriente,
prima che l'abusivismo edilizio deturpasse l'area circostante con
costruzioni disarmoniche, doveva essere grandiosa. Una funzionale
illuminazione esterna notturna contribuisce a dar evidenza alle linee
architettoniche, descrivendone l'insieme volumetrico e cromatico
nella suggestività fascinosa delle luci e delle ombre. La chiesa
è oggi visitabile a richiesta.
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